Con la sua decisione del 17 dicembre scorso, la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo (CEDU) ha rigettato il ricorso presentato nel 2011 da Antonio Caponigri e Bruno Scatena, i due colleghi dell'Aeronautica Militare condannati per l'incidente aereo del 25 febbraio 2004, in cui un volo ambulanza si schiantò sul massiccio montuoso dei Sette Fratelli, in avvicinamento all'aeroporto di Cagliari.
I colleghi si sono rivolti alla CEDU in quanto lamentavano la violazione – da parte dell'Italia – del loro diritto ad un equo processo, sancito dall'articolo 6 della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo.
Secondo il loro ricorso, la mancata considerazione da parte delle Corti nazionali delle perizie tecniche (che li scagionavano) avrebbe impedito la corretta ricostruzione e comprensione degli eventi, pregiudicando quindi il corretto svolgimento dei processi che li hanno coinvolti.
La CEDU ha ritenuto inammissibile il ricorso, affermando che un'eventuale sua valutazione della questione sarebbe equivalsa ad un "quarto grado" di giudizio, fattispecie non ammessa dalla Convenzione. La Corte, questo il ragionamento, afferma che le sentenze italiane rispondono già adeguatamente alle doglianze dei colleghi che hanno fatto ricorso, senza che appaiano palesi elementi di illogicità, iniquità, né palesi profili di violazione nella procedura nazionale.
Non siamo giuristi, e se anche così fosse non sarebbe nostro compito giudicare il merito delle valutazioni della CEDU.
Tuttavia, nell'esprimere la nostra piena solidarietà ai colleghi, alla luce della decisione della Corte riteniamo doveroso ribadire agli Associati ANACNA lo "stato dell'arte" della responsabilità professionale degli operatori ATS in Italia. Che ci piaccia o meno, che lo si trovi corretto o meno, la sentenza di Cassazione di Cagliari assegna ai controllori del traffico aereo una posizione di garanzia, dai confini non ben delimitati, nei confronti di tutti gli utenti dello spazio aereo, equipaggi e passeggeri. Questo è il giudizio della Cassazione, espresso nel 2011 ma naturalmente ancora valido al giorno d'oggi.

Si può fare qualcosa? Forse sì.

ANACNA lavora da anni per sensibilizzare l'opinione pubblica e la magistratura sulla necessità di valutare l'eventuale colpa degli operatori ATS con lenti diverse da quelle utilizzate finora, stabilendo sanzioni che siano strettamente correlate con l'aderenza o meno a norme e standard tecnici precisi e comunemente accetatti, anziché ad una generica posizione di garanzia, che rischia di far ricadere necessariamente le responsabilità sull'operatore di prima linea, ultima barriera prima dell'incidente. È in questo senso che va letta l'inclusione, avvenuta nel 2014, dei nostri manuali operativi tra le fonti del diritto, grazie al nuovo articolo 733 bis del Codice della Navigazione: una modifica normativa che ha visto ANACNA tra i principali promotori.
Tuttavia, alla luce della crescente complessità di una professione come quella degli operatori ATS, definita in ambito accademico come "a rischio consentito", sembrano maturi i tempi per una revisione – almeno per professioni come la nostra – dei criteri di graduazione della colpa, dando ai giudici stessi gli strumenti normativi adatti per valutare la colpa professionale in un'ottica più moderna e sistemica.
Prendendo le mosse dalle innovazioni normative degli ultimi anni in tema di colpa nel settore medico, ANACNA sta lavorando proprio in questa direzione, insieme all'Alta Scuola sulla Giustizia Penale dell'Università Cattolica di Milano. I risultati del progetto di ricerca congiunto ANACNA – ASGP verranno presentati nei prossimi mesi.

 

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